La Corte di Cassazione, con la sentenza sopra indicata, è tornata ad esaminare il concetto di “interesse o vantaggio per l’ente” in relazione al compimento di reati ambientali da parte dei soggetti apicali.

Nel caso di specie, la Cassazione ha respinto il ricorso presentato da una società avverso la sentenza del Tribunale di Rimini, che l’aveva condannata per il reato di “Scarichi di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose”, fattispecie prevista all’art. 137, commi 1 e 2, del D.lgs. 152/2006.

In particolare, la società aveva aperto uno scarico che disperdeva in un fiume reflui industriali contenenti molteplici sostanze chimiche pericolose, senza tuttavia avere richiesto e ottenuto la necessaria autorizzazione ambientale.

Secondo i giudici di merito, il fatto era stato commesso dal legale rappresentante nell’interesse della società, in quanto l’apertura e il mantenimento dello scarico aveva consentito alla stessa di smaltire i propri rifiuti nell’ambiente, in pieno contrasto con le regole previste dalla normativa vigente.

La società, inoltre, non aveva adottato un Modello di organizzazione, gestione e controllo, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, idoneo a prevenire i reati contestati.

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La società, impugnando la sentenza di condanna, aveva rilevato la errata applicazione dell’art. 137, D.Lgs. 152/2006 e la mancanza di motivazione circa l’interesse dell’ente rispetto alla condotta addebitata all’imputato, evidenziando come il Tribunale avesse omesso di considerare l’occasionalità della condotta rilevante (stante l’unicità dell’episodio di sversamento contestato) nonché la mancanza di vantaggio economico in capo all’ente.

 

Nonostante l’occasionalità della condotta, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso della società, ha confermato la condanna inflitta dai giudici di prime cure, sottolineando come debba considerarsi posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente anche la condotta che, come nel caso in esame, costituisca attuazione di scelte organizzative o gestionali inadeguate e finalizzate a sostenere i soli costi dalle stesse derivanti.

Detta condotta, benché non implichi un risparmio di spesa, deve ritenersi realizzata nell’interesse dell’ente in quanto espressione di una politica imprenditoriale totalmente inadeguata.

In altri termini, la responsabilità per l’ente ex art. 25-undecies D.lgs. 231/2001 è stata affermata dalla Corte sul presupposto che l’apertura e il mantenimento dello scarico oggetto di contestazione aveva consentito all’ente di recapitare i propri reflui senza predisporre i necessari accorgimenti per raccoglierli e smaltirli secondo la disciplina vigente, quindi ottenendo un risparmio di costi.

 

Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno rammentato che in tema di verifica in concreto dell’interesse e vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato la “effettiva e potenziale utilità, ancorché di natura economica, dalla commissione del reato, sono valutabili anche in termini di risparmio di costi, tanto che si deve ritenere posta nell’interesse dell’ente, e dunque forte di responsabilità amministrativa, anche quella condotta che, come nel caso in esame, attui le scelte organizzative o gestionali dell’ente da considerare inadeguate, con la conseguenza che la condotta, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se è coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, è da considerare realizzata nell’interesse dell’ente“.

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La sentenza in commento consolida quindi l’orientamento secondo cui l’interesse o il vantaggio per l’ente sono valutabili anche in termini di risparmio di costi; occorrerà semplicemente accertare che la condotta illecita sia espressione di scelte organizzative e gestionali che mirano ad evitare i costi che graverebbero sull’impresa se l’attività di quest’ultima fosse svolta nel pieno rispetto della normativa vigente